22 novembre 2008

L'Assalto al Treno

La rete ferroviaria in Messico fu costruita a metà del secolo XIX da Porfirio Diaz. Successivamente fu nazionalizzata da Lazaro Cárdenas negli anni trenta e sessant’anni anni dopo, nel 1996, fu privatizzata. Dal 1996 nessuno può più usufruire del trasporto ferroviario, che è esclusivamente adibito a trasporto merci. La rete consta principalmente di due linee nord-sud che collegano città del Messico agli Stati Uniti e una est-ovest che porta le merci dalla capitale fino a Guadalajara.
Quest’ultima linea passa per Celaya, capitale dello stato di Guanajuato; il centro è grazioso, la zona suburbana meno, ed in particolare la Colonia Santa Teresita non è proprio accogliente. Diciamo pure che dopo le 7 di sera questo quartiere può facilmente intaccare l’integrità fisica e/o mentale di qualunque turista abbia l’impellente necessità di entrarvi.
Per l’appunto, mi trovo a Santa Teresita, non in veste di turista, figuriamoci, bensì di geologo, che forse è più pericoloso... Sono le 3 del pomeriggio, con due amici-colleghi ingegneri stiamo tracciando su una carta topografica i danni causati agli edifici da una faglia che passa giusto nel mezzo del quartiere. La linea ferroviaria México-Guadalajara limita a nord il barrio (quartiere). Alcuni ragazzi stanno accovacciati accanto ai binari, hanno i vestiti sporchi e stracciati, piedi scalzi. Sniffano colla da un sacchetto di plastica, ci guardano di sfuggita , poi tornano ad immergere la testa in quell’involucro mortale.
Da lontano fischia il treno. Una cosa normale, sembrerebbe, tutti i treni fischiano. Qui è diverso: così come un tuono squarcia il tronco di un impassibile albero, questo fischio spezza la monotonia del barrio e innesca un susseguirsi di movimenti talmente organizzati e precisi che a stento mi ricordo di essere in Messico. Dalle case storte escono le donne ed i bambini con grossi sacchi, gli uomini spingono delle carriole. Ci allontaniamo un po’ ma spinti dalla curiosità restiamo a guardare.
Il treno s’avvicina, entra nella colonia, comincia a frenare. Deve frenare, sui binari ci sono dei ragazzi, seduti, che fumano una sigaretta. Lo stridore dei freni sulle ruote del treno mi assorda. Sono treni vecchi, ci mettono un bel po’ prima di fermarsi completamente, circa un minuto.
Durante questo tempo interminabile succede di tutto: le donne si avvicinano ai due lati delle rotaie, dei ragazzi salgono sul tetto del treno e cominciano a svitare i bulloni di alcuni portelloni. Adesso il treno è immobile ma tutto ciò che lo circonda e lo violenta si muove rapidamente e metodicamente: alcuni aprono i portelloni sul tetto, altri si accovacciano sotto i vagoni e svitano delle botole dalle quali cominciano a fuoriuscire tonnellate di riso,fagioli e mais. Ora tocca alle madri e ai padri di questi giovani e ammaestrati assaltatori riempire il più in fretta possibile i sacchi e le carriole.
Come in trans, osservo la scena, da una ventina di metri di distanza. Ora sì, sono sicuro di essere in Messico, dove tutto è possibile. Un centinaio di persone, tutte decise a vivere assaltando ogni maledetto giorno il treno merci e rivendendo quello che riescono a razzolare.
Decise o obbligate? Una massa di delinquenti o una schiera di Robin Hood?
Chiedo un parere all’ingegnere Victor Manuel. Mi racconta la storia dei suoi genitori,molto poveri, di Uruapan, un paese in Michoacán. Dice che sa come vanno queste cose: i suoi quando non c’erano più soldi in casa facevano qualunque lavoro pur di non fare le sanguisughe, e così erano riusciti a pagare gli studi a un futuro ingegnere. “Questi episodi sono il frutto di una catena di decisioni sbagliate, prese da persone che controllano l’intero quartiere. Il problema è che tutti si adattano e preferiscono vivere passivamente in questo modo piuttosto che fornire un futuro ai propri figli. Tutti hanno possibilità di scelta, ma qui non lo sanno o non vogliono crederlo”.
Veniamo interrotti dal suono di alcuni spari, lontani da noi, per fortuna. Non sappiamo chi abbia sparato e non ci soffermiamo ulteriormente a scoprirlo.
Ce ne andiamo in tutta fretta verso nord, dall’altra parte delle rotaie. Lì comincia un altro quartiere, colorato, con giardini curati e macchine costose. A dividere questa colonia privata da Santa Teresita c’è solo un muro di mattoni alto 3 metri e lungo 1 km.
Qui Messico, il Paese delle assurdità e delle contraddizioni.

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