03 settembre 2008

PERCHE'


I miei primi viaggi in Nepal, Tibet, Tanzania e Marocco mi avevano mostrato che c'era dell'altro, qualcosa che mi chiamava e a cui ero già latentemente legato, chissà forse il mio stesso cognome, Giordano, indicava qualcosa di extra-europeo, e di fatto anche il colore della pelle in estate. Comunque sia l'America Latina non si era ancora creata uno spazio nella mia coscienza, quello che c'era era solo voglia di viaggiare,di evitare che il mio locus amoenus rischiasse di trasformarsi in un locus horridus dove sarebbero potute avvenire violente metamorfosi ovidiane o addirittura annichilenti metamorfosi kafkiane. Il mio desiderio di conoscenza delle altre realtà non era solo un turistico desiderio di evadere per qualche settimana dalla monotonia fiorentina, bensì era la sintesi della consapevolezza che io stesso e la mia vita dipendevano da luoghi lontani, da persone e culture con cui dovevo assolutamente confrontarmi.
Confonti che, dobbiamo esserne previamente consapevoli, sono allo tesso tempo il veleno e l'antidoto; confronti che cambiano la vita.
Guardando nei grandi e allegri occhi dei bambini tanzaniani il riflesso della vita in bianco e nero che stavano vivendo e che erano destinati vivere, maturai un senso di disagio nei confronti della mia dolce vita a colori; nei loro occhi vidi che quei bambini non erano altro che piccoli adulti, il cui unico gioco era quello di far rotolare pezzi di cuoio con un bambù... mi sentivo immeritevole della carica di cui la sorte mi aveva investito. Fortunato, niente più.
Mi ritrovai una notte a prendere un tè in un patio di una casa di Luxor, seduto a gambe incrociate in uno dei tanti tappeti che nascondevano il pavimento sabbioso, e parlando con Nassir, un diciottenne che lavora come cameriere sulle navi da crociera che vanno sue giù per il Nilo, capii che la nostra società stava vivendo troppe contraddizioni: molti di noi nascono e vivono in una condizione di benestare, che però troppe poche volte aiuta a farli sentire davvero in pace. Quando siamo bambini non dobbiamo preoccuparci di portare qualche soldo a casa vendendo braccialetti ai turisti, non dobbiamo svegliaci alle 5 e mezzo per andare a prendere l’acqua dal pozzo a chilometri di distanza dalla nostra umile casa fatta di argilla e acqua, non dobbiamo rifiutare di essere ancora troppo piccoli per comportarci già da adulti. Ci godiamo il dolce far niente e non ci rendiamo conto che con il passare degli anni i vuoti creati da questa comodità vengono lentamente e aggressivamente riempiti dalle nevrosi moderne che, come tempeste di lampi, bruciano e imprigionano in sfere infuocate le nostre anime. Ci deprimiamo e annoiamo e come unica arma di difesa, ci adattiamo a testa bassa, scordando che possiamo trovare sempre nuovi stimoli e ideali.
Continuavo a provare questo sentimento ogni qual volta mi ritrovavo faccia a faccia con chi non aveva mai avuto il tempo per le paranoie; con chi non si era permesso il lusso di farsi come nemico la propria persona. Il nemico peggiore è un altro: la vita stessa che, se presa alla leggera, uccide. Noi ci siamo scordati tutto ciò, nonostante sia una realtà ancora viva nella maggior parte del mondo, compreso nel nostro Sud.
Una volta maturata questa sensazione, ho avuto paura. Paura causata dalla certezza che ero “fuori luogo”, come un qualunque Robinson Crusoe, che si sveglia in un mondo diverso da quello a cui sente di appartenere. Allora suonavo, cercando di viaggiare con la mente laddove ancora non avevo visto niente, sol minore do sol minore do sol minore mi bemolle settima fa sol minore stop, non potevo andare oltre il limite che l’Occidente mi stava imponendo. Volevo di più. Volevo trasformare l’energia potenziale che avevo dentro e che stava diventando niente meno che ossessiva frenesia, in energia cinetica che mi desse la spinta per comporre una vita romanticamente chopeniana. “Que la llama del entusiasmo brille en tu mirada”, questo volevo.
Il confronto con l’altro divenne una necessità. Pino Cacucci scrive che - il contatto con “l’altro”, a qualsiasi latitudine, comincia con un gesto di resa incondizionata: la rinuncia ai propri schemi e abitudini liberandosi dall’inconfessata certezza che la realtà sia univoca e unidimensionale, e che tutto possa venire interpretato da un solo modo di guardare. L’ingrediente più nefasto della cultura occidentale credo sia proprio questa nostra ormai istintiva consuetudine ad analizzare e giudicare filtrando i comportamenti altrui attraverso una rete di convenzioni che ci illudiamo siano assolute e scontate -. Volevo arrendermi ai miei schemi, per la voglia di suonare qualcosa di diverso, di lontano, e per la paura di diventare un vecchio frustrato che si sarebbe reso conto troppo tardi di aver avuto, sì, la possibilità di seguire il proprio istinto, ma che per timore di perdere una vita già scritta, l’aveva boicottato e snobbato, snaturandosi e sottovalutandosi.
Capire questo fu il mio primo grande cambiamento. Alla fine è bastato un aereo. Il mio tappeto volante. Ho lasciato la famiglia, gli amici e i luoghi di una vita, ma solo fisicamente. Il mio cuore e la mia mente fanno spola, continuamente: Italia-Messico, Messico-Italia. E’ questo il mio modo di crescere.
Comunque sia è vivendo in Messico e viaggiando in alcuni paesi dell’America Latina che ho maturato e accettato una seconda importante consapevolezza. Il rancore nei confronti della sorte che mi aveva regalato una superficiale spensieratezza è stato sostituito dalla rabbia verso il Passato e la Storia, fatta di abusi nei confronti di questi paesi, “grazie” ai quali siamo quello che siamo, e verso il Presente, che continua saccheggiando gli stessi paesi quasi esanimi.
Com’è possibile che, come scrive Andrè Gunder Frank, le regioni con il più basso livello di sviluppo e con il più elevato tasso di povertà sono quelle che in passato hanno avuto più ricchezze di qualunque altro paese oggi sviluppato? Ricchezze che furono esportate in Europa, prima, e negli Stati Uniti d’America, poi: oro, diamanti, argento, rame, stagno,nichel, manganese, titanio, potassio, zinco,cromo, mercurio, bauxite (fondamentale per fare l’acciao, senza il quale gli USA non potrebbero costruire le armi con cui poi fanno guerra agli stessi paesi rifornitori, visto che le loro maggiori miniere di bauxite sono completamente ripulite), cotone, zucchero, tessuti, petrolio, per non parlare del più ignobile di tutti, esseri umani. L’esportazione di tutte queste risorse ed il commercio degli schiavi crearono le prime enormi masse di capitali che favorirono le inversioni europee, stimolarono lo “spirito d’impresa” e furono il principale impulso della rivoluzione industriale. Basti pensare che l’impresa di assicurazioni Lloyd’s accumulava capitali assicurando schiavi e piantagioni e che con i fondi del commercio di schiavi fu costruita la grande linea ferroviaria inglese. Inoltre, con il commercio triangolare (manifatture, schiavi, zucchero), grandi mercanti finanziarono James Watt per costruire la macchina a vapore, “grande conquista scientifica europea”, continuiamo a ripetere! Grazie al cazzo. I gringos dovrebbero sapere che la loro guerra d’indipendenza è stata fortemente condizionata positivamente dal commercio di schiavi, dato che con il capitale ottenuto da questa ignobiltà i fratelli Brown, di Providence, istallarono il forno di fusione che rifornì il generale George Washington di migliaia di cannoni (D.M.Mannix e M.Cowley). E la lista potrebbe continuare.
Il Presente è fatto delle stesse merdate, questa volta perpetuate dalle 15 o poco più grandi multinazionali, ma di questo parlerò in altri post.
Quello che voglio dire è che da quando ho confrontato il nostro Primo Mondo agli altri Mille esistenti ho cominciato a sentirmi in parte responsabile. Dovremmo tutti almeno sapere. Agire, poi, o limitare i danni, è una decisione di libero arbitrio che spetta ad ognuno di noi. Non giudico colui che coscientemente decide che sta meglio sulle gradinate di Piazza Santa Croce o chi crede davvero che coprirsi di soldi sia una meta ambita e piena di valori. Mi fa incazzare, invece, chi sente che ha una voglia latente di uscire allo scoperto ma che non le da aria e che, alla fine, com’è logico che sia, si lamenta.
Non voler sapere è stupido mentre non poter sapere è impossibile. Pensare di essere informati solo con giornali e telegiornali è infantile e schiavizzante. Informarsi in internet non è sufficiente e indignarsi è inutile.
Buttarsi e reagire sono l’unica soluzione.
Questo blog è dedicato a chi vuole conoscere qualcosa che i nostri media non vogliono e possono dire, e che molte coscienze non vogliono ammettere.
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